mercoledì 9 marzo 2011

Eppursimuove 1979. Il Teatro di Ventura

Uno dei primi spettacoli di Eppursimuove 1979 fu quello del Teatro di Ventura. Il luogo dove avvenne la rappresentazione fu una stanza della Casa dell’agricoltore in via Dalmazia a Treviglio. Lo spettacolo, per la regia di Ferruccio Merisi, si intitolava, mi sembra, Il breviario dei saltimbanchi. Le seguenti fotografie si riferiscono appunto a questa rappresentazione; tra gli attori mi ricordo Bano Ferrari e Silvio Castiglioni.

Breve storia del Teatro di Ventura
Il Teatro di Ventura nasce a Treviglio nel 1975. Tra i fondatori tre attori e registi protagonisti della scena teatrale, del “Terzo Teatro” fondato da Eugenio Barba: Silvio Castiglioni, Bano Ferrari e Ferruccio Merisi.
In un articolo di Claudia Contin, intitolato Viaggio di un attore nella commedia dell’arte, nel numero 1/2 della rivista «Prove di drammaturgia» (1995), il regista Ferruccio Merisi affermava: «La Commedia dell’arte faceva parte fin dall’inizio del nostro progetto di auto-pedagogia. Figli del ’68, non ci fidavamo di nessuna scuola esistente. Cercavamo di costruirci una professionalità “di ventura”: volevamo imparare ad incontrare il pubblico attraverso una serie progressiva di esperienze che ci portasse ad una particolare coscienza, flessibilità e anche “distanza” d’attore. E così proposi ai miei compagni di imparare prima a fare i saltimbanchi, poi a usare i burattini e infine ad utilizzare maschere e personaggi stilizzati. Per noi “imparare qualcosa” significava senz’altro “reinventare qualcosa”, non utilizzando maestri specifici, ma appellandoci alla nostra memoria più necessaria, ai sogni, ai desideri. A dire il vero era la lezione, o più esattamente lo stimolo profondo ed il continuo confronto con l’unico maestro che riconoscevamo, Eugenio Barba, che ci conferiva il coraggio, forse anche la presunzione, certo l'intelligenza per tentare queste avventure».
Gli spettacoli messi in scena da Teatro di Ventura furono: Il breviario dei saltimbanchi, in cui veniva esibito il lavoro quotidiano degli attori, messi a contatto con il pubblico, senza parole, palcoscenici o barriere; solo qualche suono e una palla che passava di mano dagli attori al pubblico. Nello spettacolo successivo,  Il detto del gatto lupesco, tratto da liriche giullaresche italiane, come dice  Ferruccio Merisi «per imparare a “parlare”, ci inventammo giullari». Il terzo spettacolo, intitolato Liberare la principessa, era teatro dei burattini. Infine, con La Tragedia dell’Arte, uno spettacolo di strada che  fu «il nostro primo omaggio diretto alla Commedia dell’Arte […] in quel momento, per ragioni storiche e ideologiche, non amavamo molto Arlecchino servitore di due padroni di Strehler. Ma nella nostra voluta scelta di allontanamento abbiamo cercato di dare nutrimento e fondamento a quelli che erano i nostri bisogni specifici visitando un certo numero di carnevali tradizionali: i carnevali piemontesi, i carnevali degli appennini tosco-emiliani e di quelli marchigiani, i carnevali delle prealpi bergamasche e bresciane, tra cui quello di Bagolino. In essi sopravvivevano alcune maschere che avevano chiaramente una funzione “magica” nei festeggiamenti... maschere “selvatiche”, maschere della contraddizione, maschere della rivincita... “Attori per un giorno” immersi in una specie di trance dovuta all’incontro e all’equilibrio tra “la consegna” della tradizione (costume, movimenti, funzione o compito) e 1a libertà di gioco e d'improvvisazione».
Un altro spettacolo fu Il medico per forza, che doveva rinnovare «il progetto del Teatro di Ventura attraverso un percorso vario che questa volta – nelle intenzioni – avrebbe dovuto portare fino a Pirandello».  
Nel 1981 il Teatro di Ventura si trasferisce da Treviglio (BG) a Santarcangelo di Romagna (RN). Nella città romagnola viene messo in scena un nuovo spettacolo La Questione della Primavera «uno spettacolo basato su un intermezzo di Cervantes […] la stessa metodologia di costruzione dei personaggi questa volta riusciva a portare l’attore a comporre, attraverso improvvisazioni o bozzetti, immagini e testi inediti... Sempre con maschere, posture e movimenti reinventati, per rappresentare i personaggi del “popolo”, componemmo personaggi che potevano alludere al ruolo di Arlecchino, dello Zanni, di Brighella e del Capitano». 
Lo spettacolo successivo «quasi come un manifesto, una documentazione organizzata del lavoro fin là svolto e insieme forse un testamento in una situazione difficile di sopravvivenza», fu Fraternal Compagnia - Epaves dalla Commedia dell’Arte. uno spettacolo-manifesto composto da brani dei  precedenti spettacoli e con aneddoti presi dal libro di Ferdinando Taviani e Mirella Schino La commedia dell’arte reperti-relitti-residuati: vi erano pezzi di tutti i precedenti spettacoli, compresi quelli di burattini, collegati da brani ed aneddoti tratti dal libro di Ferdinando Taviani e Mirella Schino: un materiale complesso che delineava in controluce - tra maschere e ciarlatani - una strana figura di attore, l'attore ignoto a cui noi rendevamo omaggio.
L’ultimo spettacolo fu La Bandiera di Arlecchino, con Silvio Castiglioni, «una sorta di Arlecchino Barbone che, attraverso il codice del personaggio che avevamo inventato, aveva le sue radici nella poetica personale del suo interprete: Silvio». 
Nel 1985 il Teatro di Ventura si scioglie.


Il breviario dei saltimbanchi



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